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FORZE SPECIALI ITALIANE
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Re: FORZE SPECIALI ITALIANE
9° reggimento d'assalto paracadutisti (col mochin)
minchia sono contropallati di bbrutto.......
FORZA ITALIA
minchia sono contropallati di bbrutto.......
FORZA ITALIA
Re: FORZE SPECIALI ITALIANE
addirittura!!!!!
nooooo!!!!
coi seal no cè un addestramento completamente diverso!!!!!
MIKEEEEEEEEE!!!!!!!!
poi e anche questione di teste gli americani nascono (alcuni) con la war nelle vene noi un pò meno!!!!!!
non credi?????????????????
nooooo!!!!
coi seal no cè un addestramento completamente diverso!!!!!
MIKEEEEEEEEE!!!!!!!!
poi e anche questione di teste gli americani nascono (alcuni) con la war nelle vene noi un pò meno!!!!!!
non credi?????????????????
Re: FORZE SPECIALI ITALIANE
andy ti quoto appieno...
Cpl. Stevens- llrp Team Member
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Re: FORZE SPECIALI ITALIANE
andyboy ha scritto:addirittura!!!!!
nooooo!!!!
coi seal no cè un addestramento completamente diverso!!!!!
MIKEEEEEEEEE!!!!!!!!
poi e anche questione di teste gli americani nascono (alcuni) con la war nelle vene noi un pò meno!!!!!!
non credi?????????????????
miii vi devo dire tutto...a te ed a Schicchi,siete come la foto del viet che hai messo...VECCHIIIIII, lo sapete che i SEAL anno una squadra in appoggio ai CONSIBIN a La Spezia e iCONSUBIN ne anno una in appoggio ai SEAL per scambio di tecniche, e quantaltro..... siete veramente VECCHI ...avete guadagnato punti sul BLACK BOOK
Re: FORZE SPECIALI ITALIANE
chiedo perdono sua altezza per la mia incolmabile ignoranza
Cpl. Stevens- llrp Team Member
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Re: FORZE SPECIALI ITALIANE
Nella dottrina italiana le forze speciali sono il Col Moschin (esercito), gli Incursori dell'Aeronautica, il GIS (carabinieri) e il COMSUBIN (marina militare). Con le altre definizioni (corpo d'élite, unità d'élite o corpo speciale) si possono indicare tutti quei reparti con una particolare specializzazione (dai Lagunari ai reparti NBC), ma dottrinalmente fanno parte di un'Arma (Arma della fanteria, specializzazione Lagunari).
Forze Speciali (F.S.)
Le Forze Speciali sono Corpi d’Elite delle Forze Armate; il personale che vi appartiene è destinato a missioni speciali, ed in alcune di queste ha la qualifica di "Incursore".
Gli operatori delle unità di FS sono solitamente impiegati in piccole unità dedicate ad operazioni caratterizzate da alto rischio ed elevato livello di tecnica operativa: sabotaggi, incursioni in ambienti controllati dal nemico e contro obiettivi strategici, ricognizioni speciali, ricerca e salvataggio di ostaggi in zone di guerra, eliminazione degli ostacoli e preparazione del territorio per l'invio delle forze convenzionali. In ambito "civile" il loro impiego è prezioso per la liberazione di civili in mano ai terroristi.
Le unità di Forze Speciali Italiane sono:
Reggimento d'Assalto Incursori Paracadutisti “Col Moschin” - Esercito Italiano
Gruppo Intervento Speciale - Carabinieri
Gruppo Operativo Incursori del Comando Subacquei e Incursori Teseo Tesei – Marina Militare
17° Stormo Incursori – Aeronautica Militare
Forze per Operazioni Speciali (F.O.S.)
Le F.O.S. sono unità altamente specializzate, e costituiscono la via di mezzo tra i reparti convenzionali già altamente preparati dell'Esercito (Paracadutisti, Alpini, Lagunari) e le Forze Speciali, con cui spesso interoperano. Le F.O.S. quindi vengono impiegate in supporto alle unità convenzionali, o in supporto e/o sostituzione delle F.S. per operazioni quali ricognizioni speciali, sabotaggi, etc.
Le F.O.S. Italiane sono:
4° Reggimento Alpini Paracadutisti Ranger “Monte Cervino” - Esercito Italiano
185° Reggimento Ricognizione Acquisizione Obiettivi Folgore - Esercito Italiano
Le F.O.S., oltre ad essere altamente preparate ai compiti già descritti, posseggono importanti specializzazioni operative, quali la Ricognizione Speciale finalizzata all'"acquisizione obbiettivi" del 185° Reggimento R.A.O., e la significativa preparazione in ambito montano dei "Ranger Alpini Paracadutisti" del 4° Reggimento Monte Cervino.
Il durissimo e importante iter formativo a cui sono sottoposti, porta i militari dei reparti citati ad essere spesso impegnati in ruoli operativi nelle numerose missioni fuori area delle Forze Armate.
Una volta presentata la domanda, si attende di essere chiamati per le preselezioni fisiche e il tirocinio di selezione. Le preselezioni fisiche consistono nelle seguenti prove, che variano a seconda del reparto:
9° Reggimento d’Assalto Paracadutisti - corsa di piana di 1500 m, in massimo 6 minuti - minimo 30 piegamenti sulle braccia in 1 minuto - minimo 40 flessioni addominali in 1 minuto - minimo 10 trazioni alla sbarra in 1 minuto - minimo15 piegamenti alle parallele in 1 minuto
185° Reggimento RAO - corsa piana di 2000 metri in 9 minuti - marcia zavorrata di 7km (tempo massimo di 60 minuti) con zaino da 20 kg. - minimo 36 piegamenti sulle braccia in 1 minuto. - minimo 36 flessioni addominali in 1 minuto. - minimo 7 trazioni alla sbarra in 1 minuto. - minimo 12 minuti di galleggiamento con tutta da combattimento. - 50 metri di nuoto con tuta combattimento in almeno 2 minuti.
4° Reggimento Alpini Paracadutisti - marcia zavorrata di 10 km (tempo massimo di 75 minuti) con zaino da 10 kg. - minimo 20 piegamenti sulle braccia in 2 minuti. - minimo 30 flessioni addominali in 2 minuti - minimo 5 trazioni alla sbarra in 2 minuti - minimo 8 piegamenti alle parallele in 2 minuti
Chi supera le pre-selezioni fisiche ritorna ai reparti, per poi essere chiamato al 9° Reggimento per partecipare, presso la 101° Compagnia Allievi, al Tirocinio di Selezione, seconda fase dell’iter selettivo, che ha luogo due volte l'anno nei mesi di maggio-giugno oppure ottobre-novembre.
[/b][b]e questo è solo una parte, x chi volesse approfondire cercare su wikipedia alla voce forze speciali italiane, io mi sono molto informato anche sull'addestramento dela legione straniera e devo dire che quello dei nostri sembrerebbe più impegnativo...... la cosa vera che non ci fa apprezzare il valore dei nostri è che non possono essere dispiegati in attacco ma solo in difesa..... e quando succede che hanno degli ingaggi o attaccano per prima viene tutto nascosto dal nostro governo.... causa pacifisti e opposizione politica .........
Forze Speciali (F.S.)
Le Forze Speciali sono Corpi d’Elite delle Forze Armate; il personale che vi appartiene è destinato a missioni speciali, ed in alcune di queste ha la qualifica di "Incursore".
Gli operatori delle unità di FS sono solitamente impiegati in piccole unità dedicate ad operazioni caratterizzate da alto rischio ed elevato livello di tecnica operativa: sabotaggi, incursioni in ambienti controllati dal nemico e contro obiettivi strategici, ricognizioni speciali, ricerca e salvataggio di ostaggi in zone di guerra, eliminazione degli ostacoli e preparazione del territorio per l'invio delle forze convenzionali. In ambito "civile" il loro impiego è prezioso per la liberazione di civili in mano ai terroristi.
Le unità di Forze Speciali Italiane sono:
Reggimento d'Assalto Incursori Paracadutisti “Col Moschin” - Esercito Italiano
Gruppo Intervento Speciale - Carabinieri
Gruppo Operativo Incursori del Comando Subacquei e Incursori Teseo Tesei – Marina Militare
17° Stormo Incursori – Aeronautica Militare
Forze per Operazioni Speciali (F.O.S.)
Le F.O.S. sono unità altamente specializzate, e costituiscono la via di mezzo tra i reparti convenzionali già altamente preparati dell'Esercito (Paracadutisti, Alpini, Lagunari) e le Forze Speciali, con cui spesso interoperano. Le F.O.S. quindi vengono impiegate in supporto alle unità convenzionali, o in supporto e/o sostituzione delle F.S. per operazioni quali ricognizioni speciali, sabotaggi, etc.
Le F.O.S. Italiane sono:
4° Reggimento Alpini Paracadutisti Ranger “Monte Cervino” - Esercito Italiano
185° Reggimento Ricognizione Acquisizione Obiettivi Folgore - Esercito Italiano
Le F.O.S., oltre ad essere altamente preparate ai compiti già descritti, posseggono importanti specializzazioni operative, quali la Ricognizione Speciale finalizzata all'"acquisizione obbiettivi" del 185° Reggimento R.A.O., e la significativa preparazione in ambito montano dei "Ranger Alpini Paracadutisti" del 4° Reggimento Monte Cervino.
Il durissimo e importante iter formativo a cui sono sottoposti, porta i militari dei reparti citati ad essere spesso impegnati in ruoli operativi nelle numerose missioni fuori area delle Forze Armate.
Una volta presentata la domanda, si attende di essere chiamati per le preselezioni fisiche e il tirocinio di selezione. Le preselezioni fisiche consistono nelle seguenti prove, che variano a seconda del reparto:
9° Reggimento d’Assalto Paracadutisti - corsa di piana di 1500 m, in massimo 6 minuti - minimo 30 piegamenti sulle braccia in 1 minuto - minimo 40 flessioni addominali in 1 minuto - minimo 10 trazioni alla sbarra in 1 minuto - minimo15 piegamenti alle parallele in 1 minuto
185° Reggimento RAO - corsa piana di 2000 metri in 9 minuti - marcia zavorrata di 7km (tempo massimo di 60 minuti) con zaino da 20 kg. - minimo 36 piegamenti sulle braccia in 1 minuto. - minimo 36 flessioni addominali in 1 minuto. - minimo 7 trazioni alla sbarra in 1 minuto. - minimo 12 minuti di galleggiamento con tutta da combattimento. - 50 metri di nuoto con tuta combattimento in almeno 2 minuti.
4° Reggimento Alpini Paracadutisti - marcia zavorrata di 10 km (tempo massimo di 75 minuti) con zaino da 10 kg. - minimo 20 piegamenti sulle braccia in 2 minuti. - minimo 30 flessioni addominali in 2 minuti - minimo 5 trazioni alla sbarra in 2 minuti - minimo 8 piegamenti alle parallele in 2 minuti
Chi supera le pre-selezioni fisiche ritorna ai reparti, per poi essere chiamato al 9° Reggimento per partecipare, presso la 101° Compagnia Allievi, al Tirocinio di Selezione, seconda fase dell’iter selettivo, che ha luogo due volte l'anno nei mesi di maggio-giugno oppure ottobre-novembre.
[/b][b]e questo è solo una parte, x chi volesse approfondire cercare su wikipedia alla voce forze speciali italiane, io mi sono molto informato anche sull'addestramento dela legione straniera e devo dire che quello dei nostri sembrerebbe più impegnativo...... la cosa vera che non ci fa apprezzare il valore dei nostri è che non possono essere dispiegati in attacco ma solo in difesa..... e quando succede che hanno degli ingaggi o attaccano per prima viene tutto nascosto dal nostro governo.... causa pacifisti e opposizione politica .........
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Re: FORZE SPECIALI ITALIANE
Il tirocinio, come detto, della durata di due settimane (una terza può però essere eventualmente dedicata al recupero d’attività, che non si sono potute svolgere per motivi di forza maggiore), include, dopo aver ripetuto le prove della preselezione, altre prove:
- 5 marce zavorrate a tempo, in uniforme da combattimento e zaino di 20 kg senza arma, su itinerari di difficoltà, dislivello e distanza variabile da 10 e 30 km: 10 km in piano da concludersi nel tempo massimo di un'ora e 16 minuti, 15 km su terreno vario e dislivello di 300 metri in due ore e 10 minuti, 21 km con forte dislivello di 900 metri in tre ore e 15 minuti, marcia di resistenza di 30 km in quattro ore e 28 minuti, marcia notturna in terreno accidentato, molto impegnativo, di 12 km.
- prove d’ardimento, presso il complesso “Lustrissimi” di Livorno, che prevedono il superamento di percorsi di guerra, ostacoli aerei e ponti di corda, per accertare le di coraggio, coordinazione e velocità.
- test d’acquaticità ed Anfibia, alla Base a Mare, nuoto di superficie e voga. Inoltre altri test di varia natura, che includono, tra l’altro, il completamento di percorsi sotterranei per l’accertamento delle proprie capacità d’autocontrollo in situazioni ed ambienti claustrofobici
Molti di questi esercizi vengono variati ad ogni corso, per evitare di far conoscere in anticipo ai candidati i particolari della selezione ed impedire che possano prevedere ciò che li attende. Non sono pertanto mai noti con esattezza i tempi entro i quali terminare una prova, o il punteggio minimo da conseguire in un determinato test. Questa insicurezza costringe i candidati a formare comunque lo sforzo massimo in ogni circostanza, impedisce loro di limitarsi al risultato minimo, anche se sufficiente e permette agli istruttori di valutare meglio le reali doti caratteriali dei candidati.
Questa selezione iniziale determina una prima sostanziale “scrematura” dei partecipanti, anche se si cerca di far concludere le due settimane di tirocinio a tutti gli allievi, indipendentemente dall’esito finale, in quanto la permanenza al RAFOS rappresenta comunque un’eccellente occasione di arricchimento professionale. Il personale ritenuto non idoneo ritorna ai reparti d’appartenenza, senza alcuna annotazione negativa accompagni il loro curriculum individuale. Solo chi supera con successo entrambe le fasi della selezione, la preselezione all’idoneità fisica ed il tirocinio, viene invece ammesso alla frequenza del corso Operatore Basico Operazioni Speciali
- 5 marce zavorrate a tempo, in uniforme da combattimento e zaino di 20 kg senza arma, su itinerari di difficoltà, dislivello e distanza variabile da 10 e 30 km: 10 km in piano da concludersi nel tempo massimo di un'ora e 16 minuti, 15 km su terreno vario e dislivello di 300 metri in due ore e 10 minuti, 21 km con forte dislivello di 900 metri in tre ore e 15 minuti, marcia di resistenza di 30 km in quattro ore e 28 minuti, marcia notturna in terreno accidentato, molto impegnativo, di 12 km.
- prove d’ardimento, presso il complesso “Lustrissimi” di Livorno, che prevedono il superamento di percorsi di guerra, ostacoli aerei e ponti di corda, per accertare le di coraggio, coordinazione e velocità.
- test d’acquaticità ed Anfibia, alla Base a Mare, nuoto di superficie e voga. Inoltre altri test di varia natura, che includono, tra l’altro, il completamento di percorsi sotterranei per l’accertamento delle proprie capacità d’autocontrollo in situazioni ed ambienti claustrofobici
Molti di questi esercizi vengono variati ad ogni corso, per evitare di far conoscere in anticipo ai candidati i particolari della selezione ed impedire che possano prevedere ciò che li attende. Non sono pertanto mai noti con esattezza i tempi entro i quali terminare una prova, o il punteggio minimo da conseguire in un determinato test. Questa insicurezza costringe i candidati a formare comunque lo sforzo massimo in ogni circostanza, impedisce loro di limitarsi al risultato minimo, anche se sufficiente e permette agli istruttori di valutare meglio le reali doti caratteriali dei candidati.
Questa selezione iniziale determina una prima sostanziale “scrematura” dei partecipanti, anche se si cerca di far concludere le due settimane di tirocinio a tutti gli allievi, indipendentemente dall’esito finale, in quanto la permanenza al RAFOS rappresenta comunque un’eccellente occasione di arricchimento professionale. Il personale ritenuto non idoneo ritorna ai reparti d’appartenenza, senza alcuna annotazione negativa accompagni il loro curriculum individuale. Solo chi supera con successo entrambe le fasi della selezione, la preselezione all’idoneità fisica ed il tirocinio, viene invece ammesso alla frequenza del corso Operatore Basico Operazioni Speciali
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Re: FORZE SPECIALI ITALIANE
visto lo speciale davvero bello...i ragazzi devo dire contropallati...
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Task Force 45
Complicità politiche ed istituzionali per la Task Force 45
ottobre 11, 2009 di byebyeunclesam
Dei “professionisti” tricolori della Task Force 45 si conoscono i reparti di provenienza e la forza approssimativa, 180-200 uomini. Non si sa niente invece delle dotazioni militari, niente degli ufficiali e sottoufficiali, niente della effettiva catena di comando locale, niente sugli avvicendamenti e sui cicli di “operazione”, niente sulla sorte riservata ai feriti mujaeddin e pashtun catturati sul terreno né esiste agli atti del Ministero della Difesa un solo comunicato che riguardi l’attività operativa dell’unità speciale che la Repubblica delle Banane mette ad esclusiva disposizione dei super killer di Enduring Freedom.
Alla faccia della trasparenza e della libertà di “informazione”. Su questa banda di “bucanieri della montagna” il silenzio di giornali e televisione è totale.
Si sa solo, per notizie che rimbalzano in Italia dalla agenzie di stampa afghane nelle provincie di Herat e Farah, che, ad oggi, si contano a centinaia gli insorti “neutralizzati” ed a decine i morti ammazzati tra i residenti per “effetti collaterali” di rastrellamenti, cecchinaggio, tiri di mortaio e “bonifiche” dall’aria.
Ora che la Folgore sta per essere avvicendata la Task Force 45 torna, ad orologeria, alla pratica del rambismo, per alzare il livello dello scontro e per preparare come si deve il “terreno” alla Brigata Sassari.
Tutte le Grandi Unità devono lasciare un “minimum” di caduti nel Paese delle Montagne, sufficiente a cementare solidarietà tra i partner dell’Alleanza Atlantica, a rilanciare sul piano nazionale la necessità della guerra al “terrorismo”, ad instillare nelle Forze Armate del Bel Paese l’odio per un “nemico” che predica e pratica l’Islam, a preparare a livello politico una componente militare di “elite” che offra le esperienze e le specializzazioni necessarie per essere utilizzata, quando sarà “necessario”, sul piano interno come garante dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale.
Una struttura in formazione che sottrae, via via, risorse destinate all’attività di addestramento ed utilizzo del personale delle Forze Armate, acquisizioni logistiche e sistemi d’arma.
Forze Armate che a partire dal Nuovo Modello di Difesa sono state giudicate un peso di cui doversi liberare, elefantiache, obsolete e totalmente inadatte a gestire “operazioni di polizia internazionale” sia dagli esecutivi di centro-sinistra che di centro-destra, con l’esplicito appoggio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, del CSD e dei titolari dei Ministeri della Difesa.
Una campagna normativa “acquisti-dismissioni” che parte in sordina dal 1999 e ha preso un’accelerazione da capogiro a partire dall’estate 2006.
Le riforme nella Pubblica Amministrazione annunciate da Brunetta ed approvate in settimana in CdM vanno in questa direzione, al di là dei settori “civetta” sotto tiro.
Per capire cosa si stia muovendo dietro la Task Force 45, dopo mesi di impenetrabile silenzio su questa “unità antiterrorismo”, basterà leggere il seguente comunicato AGI dello scorso 9 ottobre:
“Un capo talebano Ghoam Yahya [un nome con tutta probabilità inventato di sana pianta, ndr] e 25 suoi affiliati [!] sono stati neutralizzati oggi nel corso di un operazione congiunta di militari italiani e statunitensi. L’episodio è avvenuto a 20 km da Herat. Secondo quanto si apprende la Task Force 45 che seguiva il gruppo di insorti già da ieri, è entrata in azione. Appresa la notizia il Ministro della Difesa si è subito complimentato con il CSM gen. Vincenzo Camporini e con il comandante delle forze italiane di Herat generale Rosario Castellano.”
Ecco come il titolare di Palazzo Baracchini ha cercato fraudolentemente di coinvolgere le Forze Armate nazionali in questo nuovo massacro che porta una firma esclusiva: quella della NATO.
Una manovra vergognosa per scaricare sui vertici militari del Paese i malumori di un’opinione pubblica fortemente contraria all’avventurismo bellico della Repubblica delle Banane, una responsabilità che è soprattutto “politica” ed “istituzionale”. Quel “nessun ritiro dall’Afghanistan” pronunciato dal marito della signora Clio da Tokio, all’indomani della morte dei sei parà del 186° Rgt. Folgore, la dice chiara.
Non siamo mai stati teneri con i sostenitori della “missione di pace” dell’Italietta in Afghanistan ma che Camporini sia al corrente del “lavoro” che fa la Task Force 45 “tricolore” è largamente improbabile. Sparare nel mucchio non serve, anzi, è fuorviante e dannoso.
Si sa che La Russa non va per il sottile quando c’è da compiacere il Presidente del Presidente. Lo stiamo attentamente monitorando dal G8 delle “donne” alla Farnesina alla presenza della bocca ad uso poliedrico della Carfagna e di Frattini, a partire dalle mete estere, Corea del Sud e Giappone e dalle frenetiche, ormai quotidiane, convocazioni al Quirinale dei “pezzi da novanta” del Bel Paese nel tentativo di ritardarne l’implosione.
Il conflitto tra Napolitano e Berlusconi non è sulla costruzione a passi da gigante di una Repubblica Presidenziale, che va benone ad entrambi, ma su chi dovrà occupare il seggiolone del Colle con pieni poteri. L’ex fascista “O ‘Sicco” lo vuole destinare alle chiappe di Fini, “papi” vuole metterci le sue. Il resto sono chiacchiere e depistaggi.
Una struttura coperta quella della Task Force 45 che si avvale, sarà bene dirlo, di grosse complicità al Comando Operativo Interforze di Centocelle.
Il curriculum di Camporini, caso pressoché unico, è esente da qualsiasi frequentazione “imbarazzante” a Bruxelles od a Washington.
Frequentazioni che aprono la strada da sessant’anni esatti alle più alte responsabilità nelle Forze Armate dell’Italietta e dischiudono, dopo la quiescenza, le stanze nelle società di Finmeccanica od abilitano ad altri prestigiosi incarichi nelle “istituzioni”, in istituti pubblici o privati, in Italia ed in Europa. Incarichi sempre lautamente retribuiti.
Possibile invece che ne sia stato informato, a cose fatte, il comandante del West Rc di Herat, Prt 11, che non batte da tempo per il verso giusto in attesa di incassare una promozione.
La Task Force 45 non dipende né da Castellano né dal suo diretto superiore gen. Bertolini ma dall’ammiraglio G. Di Paola, un ringhioso cane da guardia con un formidabile pedigree NATO, eletto il 13 febbraio del 2008 Segretario Generale del Comitato che riunisce i vertici militari dei 28 Paesi aderenti all’Alleanza Atlantica, quando era ancora C.S.M delle Forze Armate per decisione del CdM del governo Berlusconi.
Un ammiraglio pataccato da Bush con la Legion of Merit che condivide con Will C. Rogers III, l’ex Capitano di Vascello dell’incrociatore USS CG-49 Vincennes, responsabile dell’abbattimento con due missili antiaerei RIM-66 Standard di un Airbus dell’Iran Air (volo 655) e della morte di 290 passeggeri sul Golfo Persico durante il volo Bandar Abbas-Dubai, il 3 luglio 1988.
Giancarlo Chetoni
ottobre 11, 2009 di byebyeunclesam
Dei “professionisti” tricolori della Task Force 45 si conoscono i reparti di provenienza e la forza approssimativa, 180-200 uomini. Non si sa niente invece delle dotazioni militari, niente degli ufficiali e sottoufficiali, niente della effettiva catena di comando locale, niente sugli avvicendamenti e sui cicli di “operazione”, niente sulla sorte riservata ai feriti mujaeddin e pashtun catturati sul terreno né esiste agli atti del Ministero della Difesa un solo comunicato che riguardi l’attività operativa dell’unità speciale che la Repubblica delle Banane mette ad esclusiva disposizione dei super killer di Enduring Freedom.
Alla faccia della trasparenza e della libertà di “informazione”. Su questa banda di “bucanieri della montagna” il silenzio di giornali e televisione è totale.
Si sa solo, per notizie che rimbalzano in Italia dalla agenzie di stampa afghane nelle provincie di Herat e Farah, che, ad oggi, si contano a centinaia gli insorti “neutralizzati” ed a decine i morti ammazzati tra i residenti per “effetti collaterali” di rastrellamenti, cecchinaggio, tiri di mortaio e “bonifiche” dall’aria.
Ora che la Folgore sta per essere avvicendata la Task Force 45 torna, ad orologeria, alla pratica del rambismo, per alzare il livello dello scontro e per preparare come si deve il “terreno” alla Brigata Sassari.
Tutte le Grandi Unità devono lasciare un “minimum” di caduti nel Paese delle Montagne, sufficiente a cementare solidarietà tra i partner dell’Alleanza Atlantica, a rilanciare sul piano nazionale la necessità della guerra al “terrorismo”, ad instillare nelle Forze Armate del Bel Paese l’odio per un “nemico” che predica e pratica l’Islam, a preparare a livello politico una componente militare di “elite” che offra le esperienze e le specializzazioni necessarie per essere utilizzata, quando sarà “necessario”, sul piano interno come garante dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale.
Una struttura in formazione che sottrae, via via, risorse destinate all’attività di addestramento ed utilizzo del personale delle Forze Armate, acquisizioni logistiche e sistemi d’arma.
Forze Armate che a partire dal Nuovo Modello di Difesa sono state giudicate un peso di cui doversi liberare, elefantiache, obsolete e totalmente inadatte a gestire “operazioni di polizia internazionale” sia dagli esecutivi di centro-sinistra che di centro-destra, con l’esplicito appoggio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, del CSD e dei titolari dei Ministeri della Difesa.
Una campagna normativa “acquisti-dismissioni” che parte in sordina dal 1999 e ha preso un’accelerazione da capogiro a partire dall’estate 2006.
Le riforme nella Pubblica Amministrazione annunciate da Brunetta ed approvate in settimana in CdM vanno in questa direzione, al di là dei settori “civetta” sotto tiro.
Per capire cosa si stia muovendo dietro la Task Force 45, dopo mesi di impenetrabile silenzio su questa “unità antiterrorismo”, basterà leggere il seguente comunicato AGI dello scorso 9 ottobre:
“Un capo talebano Ghoam Yahya [un nome con tutta probabilità inventato di sana pianta, ndr] e 25 suoi affiliati [!] sono stati neutralizzati oggi nel corso di un operazione congiunta di militari italiani e statunitensi. L’episodio è avvenuto a 20 km da Herat. Secondo quanto si apprende la Task Force 45 che seguiva il gruppo di insorti già da ieri, è entrata in azione. Appresa la notizia il Ministro della Difesa si è subito complimentato con il CSM gen. Vincenzo Camporini e con il comandante delle forze italiane di Herat generale Rosario Castellano.”
Ecco come il titolare di Palazzo Baracchini ha cercato fraudolentemente di coinvolgere le Forze Armate nazionali in questo nuovo massacro che porta una firma esclusiva: quella della NATO.
Una manovra vergognosa per scaricare sui vertici militari del Paese i malumori di un’opinione pubblica fortemente contraria all’avventurismo bellico della Repubblica delle Banane, una responsabilità che è soprattutto “politica” ed “istituzionale”. Quel “nessun ritiro dall’Afghanistan” pronunciato dal marito della signora Clio da Tokio, all’indomani della morte dei sei parà del 186° Rgt. Folgore, la dice chiara.
Non siamo mai stati teneri con i sostenitori della “missione di pace” dell’Italietta in Afghanistan ma che Camporini sia al corrente del “lavoro” che fa la Task Force 45 “tricolore” è largamente improbabile. Sparare nel mucchio non serve, anzi, è fuorviante e dannoso.
Si sa che La Russa non va per il sottile quando c’è da compiacere il Presidente del Presidente. Lo stiamo attentamente monitorando dal G8 delle “donne” alla Farnesina alla presenza della bocca ad uso poliedrico della Carfagna e di Frattini, a partire dalle mete estere, Corea del Sud e Giappone e dalle frenetiche, ormai quotidiane, convocazioni al Quirinale dei “pezzi da novanta” del Bel Paese nel tentativo di ritardarne l’implosione.
Il conflitto tra Napolitano e Berlusconi non è sulla costruzione a passi da gigante di una Repubblica Presidenziale, che va benone ad entrambi, ma su chi dovrà occupare il seggiolone del Colle con pieni poteri. L’ex fascista “O ‘Sicco” lo vuole destinare alle chiappe di Fini, “papi” vuole metterci le sue. Il resto sono chiacchiere e depistaggi.
Una struttura coperta quella della Task Force 45 che si avvale, sarà bene dirlo, di grosse complicità al Comando Operativo Interforze di Centocelle.
Il curriculum di Camporini, caso pressoché unico, è esente da qualsiasi frequentazione “imbarazzante” a Bruxelles od a Washington.
Frequentazioni che aprono la strada da sessant’anni esatti alle più alte responsabilità nelle Forze Armate dell’Italietta e dischiudono, dopo la quiescenza, le stanze nelle società di Finmeccanica od abilitano ad altri prestigiosi incarichi nelle “istituzioni”, in istituti pubblici o privati, in Italia ed in Europa. Incarichi sempre lautamente retribuiti.
Possibile invece che ne sia stato informato, a cose fatte, il comandante del West Rc di Herat, Prt 11, che non batte da tempo per il verso giusto in attesa di incassare una promozione.
La Task Force 45 non dipende né da Castellano né dal suo diretto superiore gen. Bertolini ma dall’ammiraglio G. Di Paola, un ringhioso cane da guardia con un formidabile pedigree NATO, eletto il 13 febbraio del 2008 Segretario Generale del Comitato che riunisce i vertici militari dei 28 Paesi aderenti all’Alleanza Atlantica, quando era ancora C.S.M delle Forze Armate per decisione del CdM del governo Berlusconi.
Un ammiraglio pataccato da Bush con la Legion of Merit che condivide con Will C. Rogers III, l’ex Capitano di Vascello dell’incrociatore USS CG-49 Vincennes, responsabile dell’abbattimento con due missili antiaerei RIM-66 Standard di un Airbus dell’Iran Air (volo 655) e della morte di 290 passeggeri sul Golfo Persico durante il volo Bandar Abbas-Dubai, il 3 luglio 1988.
Giancarlo Chetoni
Re: FORZE SPECIALI ITALIANE
Ecco come i nostri «Rambo» mettono alle corde i talebani
di Gian Micalessin
Per la prima volta due giornalisti accolti sui mezzi corazzati della Task Force 45, il meglio dei già selezionati corpi speciali Strumenti utili Carattere
da Farah (Afghanistan occidentale)
«Credete ad un ufficiale incursore: ormai anche i talebani hanno imparato la lezione, sanno riconoscerci, sanno che se si mettono contro di noi le pigliano fino a quando non respirano più».
I talebani li chiamano semplicemente «mostri». Distinguono il rollio silenzioso dei veicoli, riconoscono quei blindati giganti capaci di navigare a fari spenti nella notte, di galleggiare su maree di polvere e sabbia, d’infiammare il deserto a colpi di mitraglia e lanciagranate. E si tengono alla larga.
Per la prima volta ci siamo dentro anche noi, due giornalisti blindati nel guscio cigolante di kevlar e acciaio, tra lo sfavillio dei computer e il gracchiare sommesso della radio. I «mostri» sono una decina di blindati allungati nel deserto di vento e polvere della provincia di Farah, nel cuore dell’Afghanistan occidentale. Dietro la corazza di quei dieci Lince, il mezzo italiano studiato per resistere a mine e trappole esplosive, avanza un distaccamento della Task Force 45, il fior fiore dei nostri reparti d’elite. «Fino a qualche mese fa - ammettono dal comando di Herat, sorvolando amabilmente sulle censure del governo Prodi – l’attività di quella unità era un X file, la Task Force 45 ufficialmente non esisteva, voi siete i primi giornalisti a vederla in azione».
I fantasmi della Task Force 45 incaricati di bloccare l’infiltrazione dei talebani provenienti dal confine pachistano a sud e dalle provincia più orientale di Helmand sono meno di duecento uomini selezionati principalmente tra le fila del Nono Reggimento Col Moschin e integrati da incursori della Marina, alpini paracadutisti, carabinieri del Gis e forze speciali dell’Aviazione. Abituati a operare in stretto coordinamento con le forze speciali alleate, questi specialisti della guerra hanno partecipato, all’insaputa di gran parte degli italiani, a tutti gli scontri più importanti degli ultimi due anni. «A Farah ogni operazione dei talebani, dalla posa di trappole esplosive agli attacchi contro di noi, è coordinata dai comandanti che dalla città di Quetta in Pakistan decidono la strategia di penetrazione nel settore occidentale», spiega a Il Giornale un ufficiale responsabile dell’intelligence. Questo fa di Farah la più insidiosa delle quattro province occidentali sotto comando italiano. «I numeri parlano chiaro, solo quest’anno abbiamo affrontato una ventina di scontri a fuoco, abbiamo recuperato tre mezzi distrutti dalle trappole esplosive e abbiamo neutralizzato almeno altri cinque ordigni pronti a colpire i nostri mezzi. Insomma, qui a Farah – spiega il comandante Enrico mentre scruta la pista attraverso i visori notturni - si opera in una situazione di pericolo costante e reale, siamo stati fortunati ad aver avuto soltanto dei feriti, per proteggerci Dio ha veramente fatto gli straordinari».
La buona sorte della Task Force 45 è fatta anche di tecnologia e professionalità. Mentre avanziamo inseguendo nei visori notturni la scia di capsule cyanolight agli infrarossi infilate sul retro dei Lince, i computer di bordo sgranano sulla mappa digitale gli sfavillii bluastri captati dal satellite responsabile dell’identificazione di tutti i veicoli alleati. «Incrociando un altro convoglio a luci spente si rischierebbe il classico fuoco amico, invece così – spiega Enrico - sappiamo sempre cos’abbiamo davanti». Quando s’incontrano i talebani, com’è successo al capitano Vince durante un’operazione nel Gulistan, una regione di deserto e montagne a nord-est da qui, non è altrettanto facile. «Era l’imbrunire, eravamo fermi davanti alle montagne per montare i visori notturni e all’improvviso, mentre il sole cala, vedo delle vampate tra le cime... Qualche decimo di secondo dopo sento il crepitio, vedo gli sbuffi di sabbia ai nostri piedi. Michele mi crolla davanti, si tiene il braccio, urla “m’hanno beccato”... Intanto quelli aprono il fuoco con le mitragliatrici pesanti e i razzi Rpg... Insomma, siamo nel pieno di un’ imboscata, così salgo sulla torretta e impugno il lanciagranate. Mentre sto per premere il grilletto mi ricordo di Michele.... È ancora a terra, in mezzo ai colpi, in un attimo scaccio via il pensiero, sono addestrato... So che per salvarlo devo rispondere, non concedere tempo al nemico, imporre la superiorità di fuoco. Afferro il lanciagranate, faccio tre colpi, taro la distanza, poi li sommergo sotto una trentina di granate da 40 millimetri. I miei compagni intanto li martellano con le Browning da 50 millimetri. Il fuoco nemico smette in meno di un minuto. Quando ridiscendo scopro che anche Michele ha obbedito all’addestramento da incursore. Si è tirato dentro al suo mezzo, è salito in torretta, ha tentato di mettere il colpo in canna con il braccio ferito, ma è svenuto dal dolore. Quando arrivo a soccorrerlo è ancora lì, piegato e insanguinato davanti alla mitraglia che si scusa per non aver fatto il suo dovere. Tra incursori è così. In ogni operazione siamo sempre troppo pochi e chiunque riesce a combattere è prezioso per salvare i suoi compagni».
di Gian Micalessin
Per la prima volta due giornalisti accolti sui mezzi corazzati della Task Force 45, il meglio dei già selezionati corpi speciali Strumenti utili Carattere
da Farah (Afghanistan occidentale)
«Credete ad un ufficiale incursore: ormai anche i talebani hanno imparato la lezione, sanno riconoscerci, sanno che se si mettono contro di noi le pigliano fino a quando non respirano più».
I talebani li chiamano semplicemente «mostri». Distinguono il rollio silenzioso dei veicoli, riconoscono quei blindati giganti capaci di navigare a fari spenti nella notte, di galleggiare su maree di polvere e sabbia, d’infiammare il deserto a colpi di mitraglia e lanciagranate. E si tengono alla larga.
Per la prima volta ci siamo dentro anche noi, due giornalisti blindati nel guscio cigolante di kevlar e acciaio, tra lo sfavillio dei computer e il gracchiare sommesso della radio. I «mostri» sono una decina di blindati allungati nel deserto di vento e polvere della provincia di Farah, nel cuore dell’Afghanistan occidentale. Dietro la corazza di quei dieci Lince, il mezzo italiano studiato per resistere a mine e trappole esplosive, avanza un distaccamento della Task Force 45, il fior fiore dei nostri reparti d’elite. «Fino a qualche mese fa - ammettono dal comando di Herat, sorvolando amabilmente sulle censure del governo Prodi – l’attività di quella unità era un X file, la Task Force 45 ufficialmente non esisteva, voi siete i primi giornalisti a vederla in azione».
I fantasmi della Task Force 45 incaricati di bloccare l’infiltrazione dei talebani provenienti dal confine pachistano a sud e dalle provincia più orientale di Helmand sono meno di duecento uomini selezionati principalmente tra le fila del Nono Reggimento Col Moschin e integrati da incursori della Marina, alpini paracadutisti, carabinieri del Gis e forze speciali dell’Aviazione. Abituati a operare in stretto coordinamento con le forze speciali alleate, questi specialisti della guerra hanno partecipato, all’insaputa di gran parte degli italiani, a tutti gli scontri più importanti degli ultimi due anni. «A Farah ogni operazione dei talebani, dalla posa di trappole esplosive agli attacchi contro di noi, è coordinata dai comandanti che dalla città di Quetta in Pakistan decidono la strategia di penetrazione nel settore occidentale», spiega a Il Giornale un ufficiale responsabile dell’intelligence. Questo fa di Farah la più insidiosa delle quattro province occidentali sotto comando italiano. «I numeri parlano chiaro, solo quest’anno abbiamo affrontato una ventina di scontri a fuoco, abbiamo recuperato tre mezzi distrutti dalle trappole esplosive e abbiamo neutralizzato almeno altri cinque ordigni pronti a colpire i nostri mezzi. Insomma, qui a Farah – spiega il comandante Enrico mentre scruta la pista attraverso i visori notturni - si opera in una situazione di pericolo costante e reale, siamo stati fortunati ad aver avuto soltanto dei feriti, per proteggerci Dio ha veramente fatto gli straordinari».
La buona sorte della Task Force 45 è fatta anche di tecnologia e professionalità. Mentre avanziamo inseguendo nei visori notturni la scia di capsule cyanolight agli infrarossi infilate sul retro dei Lince, i computer di bordo sgranano sulla mappa digitale gli sfavillii bluastri captati dal satellite responsabile dell’identificazione di tutti i veicoli alleati. «Incrociando un altro convoglio a luci spente si rischierebbe il classico fuoco amico, invece così – spiega Enrico - sappiamo sempre cos’abbiamo davanti». Quando s’incontrano i talebani, com’è successo al capitano Vince durante un’operazione nel Gulistan, una regione di deserto e montagne a nord-est da qui, non è altrettanto facile. «Era l’imbrunire, eravamo fermi davanti alle montagne per montare i visori notturni e all’improvviso, mentre il sole cala, vedo delle vampate tra le cime... Qualche decimo di secondo dopo sento il crepitio, vedo gli sbuffi di sabbia ai nostri piedi. Michele mi crolla davanti, si tiene il braccio, urla “m’hanno beccato”... Intanto quelli aprono il fuoco con le mitragliatrici pesanti e i razzi Rpg... Insomma, siamo nel pieno di un’ imboscata, così salgo sulla torretta e impugno il lanciagranate. Mentre sto per premere il grilletto mi ricordo di Michele.... È ancora a terra, in mezzo ai colpi, in un attimo scaccio via il pensiero, sono addestrato... So che per salvarlo devo rispondere, non concedere tempo al nemico, imporre la superiorità di fuoco. Afferro il lanciagranate, faccio tre colpi, taro la distanza, poi li sommergo sotto una trentina di granate da 40 millimetri. I miei compagni intanto li martellano con le Browning da 50 millimetri. Il fuoco nemico smette in meno di un minuto. Quando ridiscendo scopro che anche Michele ha obbedito all’addestramento da incursore. Si è tirato dentro al suo mezzo, è salito in torretta, ha tentato di mettere il colpo in canna con il braccio ferito, ma è svenuto dal dolore. Quando arrivo a soccorrerlo è ancora lì, piegato e insanguinato davanti alla mitraglia che si scusa per non aver fatto il suo dovere. Tra incursori è così. In ogni operazione siamo sempre troppo pochi e chiunque riesce a combattere è prezioso per salvare i suoi compagni».
Re: FORZE SPECIALI ITALIANE
Afghanistan: diario di guerra dall’ultimo avamposto italiano
Tags: Afghanistan, Ahmid-Karzai, kabul
di Fausto Biloslavo da Bala Murghab (Afghanistan)
“I proiettili sollevavano sbuffi di sabbia conficcandosi davanti ai mezzi. Ci tiravano razzi Rpg da tutte le parti. Anche la base era sotto attacco. Non dimenticherò mai le fiammate delle esplosioni all’interno del fortino, dove la mia compagnia rispondeva al fuoco”. Il primo caporalmaggiore Pasquale Campopiano, 27 anni, di Caserta, descrive così l’ultima battaglia dei soldati italiani in Afghanistan. Tre giorni d’inferno, il 5, 6 e 7 agosto, quando i talebani volevano spazzare via l’avamposto di Bala Murghab. Una novantina di fucilieri della Brigata Friuli hanno tenuto, con le unghie e con i denti, le quattro mura sbrecciate di un ex cotonificio nella remota provincia di Badghis.
Il 6 agosto una colonna di rifornimento americana finisce in un’imboscata a meno di 1 chilometro dall’avamposto. La squadra di Campopiano esce a bordo dei blindati Lince per portare soccorso, ma i talebani li bersagliano annidati fra le case. I soldati italiani sono costretti a ripiegare nella base, che nel frattempo viene attaccata. Il caporale sbuca dal tetto del mezzo. «Mi sono attaccato alla mitragliatrice Browning e ho sparato 20 colpi. Poi l’arma si è inceppata per colpa della maledetta sabbia di queste parti» racconta il sottufficiale di Caserta. «È stato il mio battesimo del fuoco».
Se c’è un’Italia che per portare la pace deve fare la guerra, è proprio qui. La Terza compagnia Aquile del 66º reggimento aeromobile Trieste è arrivata a Bala Murghab il 4 agosto. Lungo una pista impossibile fra le montagne di sabbia che rendono lunare questa fetta di Afghanistan. L’ultima trincea degli italiani è un rudere di fronte al paese. Un vecchio avamposto in mezzo a una verde radura solcata da un fiume. Negli anni Ottanta ci aveva provato l’Armata rossa a presidiarlo. La leggenda vuole che i mujaheddin tagliarono la gola a tutti i soldati russi del fortino, quando le truppe sovietiche si ritirarono.
A Bala Murghab siamo arrivati con uno sbarco dal cielo scendendo di corsa dal ventre di un Ch47 italiano. Nel polverone sollevato dalle pale dell’elicottero i fucilieri della Friuli scaricano il più in fretta possibile rifornimenti e munizioni. Gli elicotteri d’attacco Mangusta sfrecciano minacciosamente, a bassa quota, per garantire protezione. Il generale Francesco Arena, basco azzurro e baffo grigio, controlla l’elisbarco circondato dalla scorta con il dito sul grilletto. Comandante del fronte occidentale della Nato in Afghanistan, è venuto in prima linea con i suoi ragazzi. I talebani, come hanno già fatto con un elicottero di trasporto per l’avamposto, possono sparare da un momento all’altro. Sembra la scena di un film sul Vietnam, ma è tutto vero.
Il capitano Massimiliano Spucches, 30 anni, di Bari, è l’interprete perfetto di questo film. Occhi limpidi, capelli a spazzola, impolverato, non molla mai la cuffia e l’auricolare della radio che lo tengono in contatto con i suoi uomini. «Sono stati veramente giorni di fuoco» spiega il comandante della compagnia. «Con questa missione i miei ragazzi sono diventati soldati».
Il 5 agosto scattano i primi attacchi. «Abbiamo sentito il fischio e una manciata di secondi dopo una fortissima esplosione. Il razzo aveva sfondato il muro esterno aprendo un buco» racconta Spucches. Fino all’8 agosto i talebani colpiscono ripetutamente, anche tre volte al giorno. Si nascondono nel villaggio a poche centinaia di metri dal fortino. Utilizzano i canali di irrigazione come trincee e camminamenti per cambiare posizione.
La Compagnia Aquile è inchiodata, ma non molla. «Ero di guardia al lato nord quando è esploso il primo razzo Rpg dentro il forte» racconta Giovanni Scaramuzza. «Ho aperto la portiera del blindato per salire e cercare riparo, quando ho sentito il sibilo. Un proiettile di kalashnikov mi ha sfiorato l’orecchio sinistro e si è infranto sul finestrino del mezzo». Da quel giorno il sottufficiale trentenne, di origini calabrese, è stato ribattezzato ‘o Miracolato. Barba incolta, occhiaie, faccia spaccata al sole, è da un mese in prima linea.
Altri non si lavano da giorni e hanno il segno degli occhialoni antipolvere impressi sul volto incrostato dalla sabbia. Le mimetiche da combattimento sono marrone per la sabbia. Non le lavano per scaramanzia. Nel fortino i soldati italiani vivono all’aperto, su brande da campo. Di giorno il sole ti spacca il cervello sotto l’elmetto e di notte l’umidità del fiume penetra nelle ossa. I ragazzi della Compagnia Aquile mangiano razioni da combattimento, ma da buoni italiani sono riusciti a farsi portare un po’ di caffè e di pasta dalle retrovie. Anche fra le bombe un piatto di spaghetti alla buona non manca mai. A tal punto che hanno inaugurato un angolo del fortino come “ristorante Katyusha”. In ricordo degli svariati missili da 107 millimetri che i talebani hanno lanciato sulla base.
Tutti raccontano con orgoglio la missione più dura della loro vita, fra paure, tensioni e piccoli atti di valore. «Avevo appena piazzato i mortai e ordinato il pronti al fuoco, quando è arrivato un katyusha e ci siamo buttati a terra» racconta il tenente Alfredo Perna, 25 anni. Con spiccato accento toscano descrive i momenti drammatici del 6 agosto, quando i talebani tartassano il campo da una casa poco distante, oltre il fiume. I soldati italiani devono fermarli, ma non vogliono colpire l’abitazione perché dentro possono esserci civili. «Via radio ho ricevuto l’ordine di lanciare corto dei colpi di avvertimento» racconta Perna. «Quando ho infilato la prima bomba nel tubo del mortaio mi sono detto: speriamo bene. Dopo la scarica del fuoco di sbarramento i talebani sospendono l’attacco».
I soldati della Nato non avevano mai messo piede da queste parti. I talebani raccontano alla popolazione che stanno tornando i russi. I fondamentalisti in armi hanno nella zona rifugi sicuri e arsenali.
«Erano le 4 e un quarto di pomeriggio, quando l’esplosione ci ha sorpreso buttandoci a terra. Non sentivamo più nulla. Dentro l’ambulanza si era alzato un polverone di sabbia. Ci siamo toccati l’uno con l’altro e Domenico mi chiedeva: sei vivo, sei vivo?». Narciso Fiorillo, 22 anni, viene da Benevento. Occhi azzurri e faccia da sbarbatello, si tiene in tasca la scheggia di un razzo Rpg che avrebbe potuto ucciderlo. Il 6 agosto, assieme a Domenico Vitale, della provincia di Lecce, ha appena finito di allestire un’area della base per assistere i feriti. I due sono inseparabili e fanno i paramedici in prima linea. Per fortuna si trovano a bordo dell’ambulanza blindata quando il razzo si infila nel muro a pochi centimetri dal mezzo. Le schegge riducono a un groviera il portellone posteriore dell’ambulanza, che si solleva come un grissino.
Assieme al tenente medico, Achille Balenzano, 27 anni, salvano la pelle a tre poliziotti e due civili afghani stabilizzando le loro ferite durante la battaglia. «Un agente era agonizzante: un proiettile gli è entrato e uscito dalla testa e un altro gli aveva perforato un polmone» racconta il medico originario di Bari. Gli afghani non si lamentano mai. Al massimo sussurrano «dar», che vuol dire fa male in pashtu. L’operazione Khora, per la conquista di Bala Murghab, è costata 5 morti e decine di feriti. Nei combattimenti sono stati uccisi due consiglieri militari americani dell’esercito di Kabul e tre soldati afghani.
Quando il convoglio di rifornimenti Usa finisce in un’imboscata, a un passo dal fortino, viene saccheggiato. Un caccia F15 filma la scena dei camion in fiamme rimbalzandola al comando della Compagnia Aquile asserragliato nella base. Sul primo momento si pensa di bombardare i mezzi per sottrarli ai talebani. Ma il rischio di provocare vittime tra i civili, che stanno depredando il carico, è troppo alto.
Gli attacchi vanno avanti fino al 12 agosto. Poi gli italiani riescono a incontrare gli anziani del villaggio. La promessa è di costruire un ponte e una strada. «Abbiamo cominciato a comprare meloni e tappeti per far girare un po’ di soldi» spiega il capitano Spucches. «Il nostro personale sanitario ha aperto un ambulatorio volante visitando una cinquantina di persone, soprattutto bambini». Adesso gli attacchi stanno riprendendo contro la compagnia spagnola, che ha dato il cambio ai soldati italiani nella sperduta provincia afghana di Badghis.
Gli angeli custodi del contingente italiano sono gli elicotteri Mangusta, che terrorizzano i talebani grazie alla loro potenza di fuoco. Il capitano Cristiano Comand ha 41 anni e viene da Teor, una cittadina in provincia di Udine. Sembra a suo agio nella tuta di volo color sabbia sull’assolata pista di Qal i Naw, il capoluogo della provincia di Badghis. Quando non pilota i Mangusta in Afghanistan fa il vicesindaco di Teor, per una lista civica di centrodestra.
«Ci hanno sparato un razzo Rpg nel sedere. L’abbiamo scampata per un soffio, ma si può morire anche in autostrada in Italia» sottolinea con un sorriso beffardo Comand. Il suo nome in codice è Fatima e il 9 luglio avrà acceso un cero alla Madonna, dopo il ferimento di due fucilieri dell’aria a 5 chilometri dal quartier generale italiano di Herat. «Avevano attaccato una nostra pattuglia a Shewashan» racconta il pilota del 5º reggimento Rigel. «Sento in cuffia “contatto a ore 6, Rpg” e viro di scatto a destra per 90 gradi. Ci hanno lanciato un razzo in coda e i piloti dell’altro Mangusta se lo sono visto passare davanti agli occhi. Pochi metri e ci avrebbero abbattuto».
Non è finita. I talebani sparano due raffiche con decine di colpi. Il capitano Comand vede i traccianti fendere l’aria attorno ai Mangusta. Cinque proiettili centrano un elicottero spagnolo, che evacua i soldati italiani feriti. Il tenente Gabriele Rame ha un arto spappolato, con la carne che penzola. «Quando gli ho messo una mano sulla spalla ancora in barella mi ha detto: “Generale non vorrei sporcarla con il mio sangue”» racconta Arena, il comandante del contingente italiano.
Nell’Afghanistan occidentale sono schierati 2.800 soldati della missione Isaf, voluta dalla Nato, per stabilizzare il paese. Spagnoli, sloveni, albanesi assieme con 1.421 soldati italiani. Numero esiguo per controllare le quattro province di Herat, Farah, Ghor e Badghis. Un fronte grande come il Nord Italia. A sud del campo di Herat c’è solo l’inferno di Farah, la provincia più pericolosa per gli italiani. Infestata da talebani e signori della droga, confina per 250 chilometri con l’Iran, che soffia sul fuoco dell’instabilità afghana.
Fuoco, fuoco, fuoco! Spari di mortai contro i talebani a Bala Murghab
Tags: Afghanistan, Ahmid-Karzai, kabul
di Fausto Biloslavo da Bala Murghab (Afghanistan)
“I proiettili sollevavano sbuffi di sabbia conficcandosi davanti ai mezzi. Ci tiravano razzi Rpg da tutte le parti. Anche la base era sotto attacco. Non dimenticherò mai le fiammate delle esplosioni all’interno del fortino, dove la mia compagnia rispondeva al fuoco”. Il primo caporalmaggiore Pasquale Campopiano, 27 anni, di Caserta, descrive così l’ultima battaglia dei soldati italiani in Afghanistan. Tre giorni d’inferno, il 5, 6 e 7 agosto, quando i talebani volevano spazzare via l’avamposto di Bala Murghab. Una novantina di fucilieri della Brigata Friuli hanno tenuto, con le unghie e con i denti, le quattro mura sbrecciate di un ex cotonificio nella remota provincia di Badghis.
Il 6 agosto una colonna di rifornimento americana finisce in un’imboscata a meno di 1 chilometro dall’avamposto. La squadra di Campopiano esce a bordo dei blindati Lince per portare soccorso, ma i talebani li bersagliano annidati fra le case. I soldati italiani sono costretti a ripiegare nella base, che nel frattempo viene attaccata. Il caporale sbuca dal tetto del mezzo. «Mi sono attaccato alla mitragliatrice Browning e ho sparato 20 colpi. Poi l’arma si è inceppata per colpa della maledetta sabbia di queste parti» racconta il sottufficiale di Caserta. «È stato il mio battesimo del fuoco».
Se c’è un’Italia che per portare la pace deve fare la guerra, è proprio qui. La Terza compagnia Aquile del 66º reggimento aeromobile Trieste è arrivata a Bala Murghab il 4 agosto. Lungo una pista impossibile fra le montagne di sabbia che rendono lunare questa fetta di Afghanistan. L’ultima trincea degli italiani è un rudere di fronte al paese. Un vecchio avamposto in mezzo a una verde radura solcata da un fiume. Negli anni Ottanta ci aveva provato l’Armata rossa a presidiarlo. La leggenda vuole che i mujaheddin tagliarono la gola a tutti i soldati russi del fortino, quando le truppe sovietiche si ritirarono.
A Bala Murghab siamo arrivati con uno sbarco dal cielo scendendo di corsa dal ventre di un Ch47 italiano. Nel polverone sollevato dalle pale dell’elicottero i fucilieri della Friuli scaricano il più in fretta possibile rifornimenti e munizioni. Gli elicotteri d’attacco Mangusta sfrecciano minacciosamente, a bassa quota, per garantire protezione. Il generale Francesco Arena, basco azzurro e baffo grigio, controlla l’elisbarco circondato dalla scorta con il dito sul grilletto. Comandante del fronte occidentale della Nato in Afghanistan, è venuto in prima linea con i suoi ragazzi. I talebani, come hanno già fatto con un elicottero di trasporto per l’avamposto, possono sparare da un momento all’altro. Sembra la scena di un film sul Vietnam, ma è tutto vero.
Il capitano Massimiliano Spucches, 30 anni, di Bari, è l’interprete perfetto di questo film. Occhi limpidi, capelli a spazzola, impolverato, non molla mai la cuffia e l’auricolare della radio che lo tengono in contatto con i suoi uomini. «Sono stati veramente giorni di fuoco» spiega il comandante della compagnia. «Con questa missione i miei ragazzi sono diventati soldati».
Il 5 agosto scattano i primi attacchi. «Abbiamo sentito il fischio e una manciata di secondi dopo una fortissima esplosione. Il razzo aveva sfondato il muro esterno aprendo un buco» racconta Spucches. Fino all’8 agosto i talebani colpiscono ripetutamente, anche tre volte al giorno. Si nascondono nel villaggio a poche centinaia di metri dal fortino. Utilizzano i canali di irrigazione come trincee e camminamenti per cambiare posizione.
La Compagnia Aquile è inchiodata, ma non molla. «Ero di guardia al lato nord quando è esploso il primo razzo Rpg dentro il forte» racconta Giovanni Scaramuzza. «Ho aperto la portiera del blindato per salire e cercare riparo, quando ho sentito il sibilo. Un proiettile di kalashnikov mi ha sfiorato l’orecchio sinistro e si è infranto sul finestrino del mezzo». Da quel giorno il sottufficiale trentenne, di origini calabrese, è stato ribattezzato ‘o Miracolato. Barba incolta, occhiaie, faccia spaccata al sole, è da un mese in prima linea.
Altri non si lavano da giorni e hanno il segno degli occhialoni antipolvere impressi sul volto incrostato dalla sabbia. Le mimetiche da combattimento sono marrone per la sabbia. Non le lavano per scaramanzia. Nel fortino i soldati italiani vivono all’aperto, su brande da campo. Di giorno il sole ti spacca il cervello sotto l’elmetto e di notte l’umidità del fiume penetra nelle ossa. I ragazzi della Compagnia Aquile mangiano razioni da combattimento, ma da buoni italiani sono riusciti a farsi portare un po’ di caffè e di pasta dalle retrovie. Anche fra le bombe un piatto di spaghetti alla buona non manca mai. A tal punto che hanno inaugurato un angolo del fortino come “ristorante Katyusha”. In ricordo degli svariati missili da 107 millimetri che i talebani hanno lanciato sulla base.
Tutti raccontano con orgoglio la missione più dura della loro vita, fra paure, tensioni e piccoli atti di valore. «Avevo appena piazzato i mortai e ordinato il pronti al fuoco, quando è arrivato un katyusha e ci siamo buttati a terra» racconta il tenente Alfredo Perna, 25 anni. Con spiccato accento toscano descrive i momenti drammatici del 6 agosto, quando i talebani tartassano il campo da una casa poco distante, oltre il fiume. I soldati italiani devono fermarli, ma non vogliono colpire l’abitazione perché dentro possono esserci civili. «Via radio ho ricevuto l’ordine di lanciare corto dei colpi di avvertimento» racconta Perna. «Quando ho infilato la prima bomba nel tubo del mortaio mi sono detto: speriamo bene. Dopo la scarica del fuoco di sbarramento i talebani sospendono l’attacco».
I soldati della Nato non avevano mai messo piede da queste parti. I talebani raccontano alla popolazione che stanno tornando i russi. I fondamentalisti in armi hanno nella zona rifugi sicuri e arsenali.
«Erano le 4 e un quarto di pomeriggio, quando l’esplosione ci ha sorpreso buttandoci a terra. Non sentivamo più nulla. Dentro l’ambulanza si era alzato un polverone di sabbia. Ci siamo toccati l’uno con l’altro e Domenico mi chiedeva: sei vivo, sei vivo?». Narciso Fiorillo, 22 anni, viene da Benevento. Occhi azzurri e faccia da sbarbatello, si tiene in tasca la scheggia di un razzo Rpg che avrebbe potuto ucciderlo. Il 6 agosto, assieme a Domenico Vitale, della provincia di Lecce, ha appena finito di allestire un’area della base per assistere i feriti. I due sono inseparabili e fanno i paramedici in prima linea. Per fortuna si trovano a bordo dell’ambulanza blindata quando il razzo si infila nel muro a pochi centimetri dal mezzo. Le schegge riducono a un groviera il portellone posteriore dell’ambulanza, che si solleva come un grissino.
Assieme al tenente medico, Achille Balenzano, 27 anni, salvano la pelle a tre poliziotti e due civili afghani stabilizzando le loro ferite durante la battaglia. «Un agente era agonizzante: un proiettile gli è entrato e uscito dalla testa e un altro gli aveva perforato un polmone» racconta il medico originario di Bari. Gli afghani non si lamentano mai. Al massimo sussurrano «dar», che vuol dire fa male in pashtu. L’operazione Khora, per la conquista di Bala Murghab, è costata 5 morti e decine di feriti. Nei combattimenti sono stati uccisi due consiglieri militari americani dell’esercito di Kabul e tre soldati afghani.
Quando il convoglio di rifornimenti Usa finisce in un’imboscata, a un passo dal fortino, viene saccheggiato. Un caccia F15 filma la scena dei camion in fiamme rimbalzandola al comando della Compagnia Aquile asserragliato nella base. Sul primo momento si pensa di bombardare i mezzi per sottrarli ai talebani. Ma il rischio di provocare vittime tra i civili, che stanno depredando il carico, è troppo alto.
Gli attacchi vanno avanti fino al 12 agosto. Poi gli italiani riescono a incontrare gli anziani del villaggio. La promessa è di costruire un ponte e una strada. «Abbiamo cominciato a comprare meloni e tappeti per far girare un po’ di soldi» spiega il capitano Spucches. «Il nostro personale sanitario ha aperto un ambulatorio volante visitando una cinquantina di persone, soprattutto bambini». Adesso gli attacchi stanno riprendendo contro la compagnia spagnola, che ha dato il cambio ai soldati italiani nella sperduta provincia afghana di Badghis.
Gli angeli custodi del contingente italiano sono gli elicotteri Mangusta, che terrorizzano i talebani grazie alla loro potenza di fuoco. Il capitano Cristiano Comand ha 41 anni e viene da Teor, una cittadina in provincia di Udine. Sembra a suo agio nella tuta di volo color sabbia sull’assolata pista di Qal i Naw, il capoluogo della provincia di Badghis. Quando non pilota i Mangusta in Afghanistan fa il vicesindaco di Teor, per una lista civica di centrodestra.
«Ci hanno sparato un razzo Rpg nel sedere. L’abbiamo scampata per un soffio, ma si può morire anche in autostrada in Italia» sottolinea con un sorriso beffardo Comand. Il suo nome in codice è Fatima e il 9 luglio avrà acceso un cero alla Madonna, dopo il ferimento di due fucilieri dell’aria a 5 chilometri dal quartier generale italiano di Herat. «Avevano attaccato una nostra pattuglia a Shewashan» racconta il pilota del 5º reggimento Rigel. «Sento in cuffia “contatto a ore 6, Rpg” e viro di scatto a destra per 90 gradi. Ci hanno lanciato un razzo in coda e i piloti dell’altro Mangusta se lo sono visto passare davanti agli occhi. Pochi metri e ci avrebbero abbattuto».
Non è finita. I talebani sparano due raffiche con decine di colpi. Il capitano Comand vede i traccianti fendere l’aria attorno ai Mangusta. Cinque proiettili centrano un elicottero spagnolo, che evacua i soldati italiani feriti. Il tenente Gabriele Rame ha un arto spappolato, con la carne che penzola. «Quando gli ho messo una mano sulla spalla ancora in barella mi ha detto: “Generale non vorrei sporcarla con il mio sangue”» racconta Arena, il comandante del contingente italiano.
Nell’Afghanistan occidentale sono schierati 2.800 soldati della missione Isaf, voluta dalla Nato, per stabilizzare il paese. Spagnoli, sloveni, albanesi assieme con 1.421 soldati italiani. Numero esiguo per controllare le quattro province di Herat, Farah, Ghor e Badghis. Un fronte grande come il Nord Italia. A sud del campo di Herat c’è solo l’inferno di Farah, la provincia più pericolosa per gli italiani. Infestata da talebani e signori della droga, confina per 250 chilometri con l’Iran, che soffia sul fuoco dell’instabilità afghana.
Fuoco, fuoco, fuoco! Spari di mortai contro i talebani a Bala Murghab
Re: FORZE SPECIALI ITALIANE
ho trovato un bel filmato sui bersaglieri ( ricordate il mio salto nel vuoto....
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Re: FORZE SPECIALI ITALIANE
http://www.youreporternews.it/2012/afghanistan-i-tiratori-scelti-possono-salvare-vite/
tanti bei video sugli italiani in afghanistan
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Sgt. wolf- llrp Team Member
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Re: FORZE SPECIALI ITALIANE
http://issuu.com/tambetti/docs/libro_folgore_tnm_preview
per quelli della nembo
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Sgt. wolf- llrp Team Member
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Re: FORZE SPECIALI ITALIANE
Ecco.. ricordiamocelo. Prima venne la X MAS poi gli altri hanno copiato.Ci sono i risconttri storici.
Poi, le cose si fanno e non si raccontano.. mica come quei cantastorie..Buscettari.. Altro che giornalisti nel blindato...
Poi, le cose si fanno e non si raccontano.. mica come quei cantastorie..Buscettari.. Altro che giornalisti nel blindato...
corvo- llrp Team Member
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