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Messaggio Da reporter Larry 14th Aprile 2011, 11:00 pm

Vediamo se la storia di questa sera, potrebbe venirci utile Domenica.

Mezzanotte passata in un avamposto nel delta del Mekong.Improvvisamente l’aria si riempie di sibili e cominciano a cadere bombe di mortaio. Victor Charlie e di nuovo all’attacco. Alla fine del 1966 i viet cong erano oramai ben armati ed applicavano tattiche micidiali

I viet cong erano come fantasmi: invisibili. Se ne restavano a osservare gli elicotteri volare in cerchio sulla zona di atterraggio senza sparare nemmeno un colpo. Ben nascosti dove la giungla e la boscaglia erano più fitte. Dal loro nascondiglio seguivano lo sbarco delle truppe nemiche e i preparativi per l’inizio della caccia. Alcuni americani con mitragliatrici e mortai restavano nella zona di atterraggio, mentre gli altri davano il via alla missione. Non appena il grosso dell’unità si era allontanato, i guerriglieri attaccavano i pochi americani rimasti indietro. Anche se ben armati, essi venivano letteralmente travolti dai viet cong che attaccavano in massa. I guerriglieri si impossessavano delle armi e sparivano nuovamente nella giungla.”I nostri compagni --- spiegò in seguito un viet cong --- non provavano alcuna pietà. Sapevamo di dover uccidere il maggior numero possibile di americani. Ci era stato detto di uccidere quanti più potevamo perché se fosse aumentato il numero dei morti, il popolo degli Stati Uniti, che non approvava questa guerra, avrebbe rovesciato il proprio governo”. I viet cong non combattevano per conquistare e mantenere un territorio. E non s’impegnavano nemmeno in battaglie decisive su larga scala per evitare che gli americani potessero sviluppare fino in fondo la loro superiore potenza di fuoco e far affluire, grazie alla loro mobilità, rinforzi nella zona. I viet cong conducevano piuttosto la cosiddetta “ guerra della pulce”: migliaia di attacchi del tipo “mordi e fuggi” per dissanguare il nemico, sfruttando al massimo il buio e la velocità dell’azione, 2 elementi–chiave di ogni guerriglia. Gli americani dicevano che la notte apparteneva a Charlie. Ed era vero. I guerriglieri venivano fuori dal nulla, uccidevano e sparivano. Uno dei principi basilari della tattica delle forze principali dell’FLN era quello della superiorità numerica al momento di sferrare l’azione. Era considerato giusto il rapporto 10:1. Nella pratica, tuttavia, un battaglione di circa 500 uomini attaccava in genere una compagnia di 100-200 uomini, con un rapporto di 5:1. Ovviamente la superiorità numerica era del tutto inutile se gli americani potevano far valere la loro schiacciante potenza di fuoco. I guerriglieri lo avevano compreso e di conseguenza stringevano da vicino le posizioni americane, impedendo così l’intervento dell’artiglieria e degli aerei per l’appoggio ravvicinato. Quando il combattimento vedeva impiegate le sole armi leggere e quelle di squadra, americani e viet cong avevano sostanzialmente la stessa potenza di fuoco. Un guerrigliero armato con l’eccellente AK-47 per molti versi era equipaggiato meglio del soldato USA e poteva sostenere con successo uno scontro a distanza ravvicinata. Alla fine del 1966, poi, i viet cong avevano una larga disponibilità di bombe a mano, mortai, cannoni senza rinculo e lanciarazzi. Gli americani erano convinti che i viet cong non tenessero in alcun conto la vita umana, che i loro capi considerassero sacrificabili gli uomini e che gli stessi guerriglieri fossero dei fanatici disposti a morire per i loro ideali. Avevano udito storie di guerriglieri che con le tasche piene di bombe a mano spolettate si lanciavano nelle trincee americane e di altri che caricavano a ondate, dritti nel raggio d’azione delle mitragliatrici, con una strana smorfia sul viso, come se fossero arsi dal fuoco del fanatismo. Ora è vero che le forze comuniste andavano all’assalto per ondate successive. Si trattava di una tattica classica della guerra rivoluzionaria: i guerriglieri si avvicinavano quanto più possibile alle posizioni nemiche senza farsi scorgere e poi si lanciavano all’assalto travolgendo i difensori con il solo peso del numero. Ma in genere i viet cong non erano cosi desiderosi di morire e, comunque non lo erano più dei soldati americani. Anzi, le tattiche impiegate denunciavano la costante preoccupazione di contenere le perdite, pianificando meticolosamente l’azione sulla scorta del lavoro del servizio informazioni ( sempre eccellente ), sfruttando l’elemento sorpresa e abbandonando velocemente la scena dello scontro ad operazione conclusa.

Preparazione lenta, Esecuzione rapida.

Il metodo di combattimento dei viet cong era caratterizzato da “una parte lenta e 4 veloci” . La parte lenta era rappresentata dalla meticolosa preparazione che precedeva ogni operazione: continua ricognizione e sorveglianza dell’obiettivo, costruzione di un modello in scala della posizione per consentire agli uomini assegnati alla missione di prendere confidenza con il terreno e con tutti gli altri elementi presenti sulla scena, prova generale dell’attacco e sistemazione di armi e cibo in nascondigli allestiti nelle aree avanzate. Le 4 parti “veloci” si snodavano l’una dietro l’altra a operazione iniziata. Innanzi tutto c’era il trasferimento, che in genere avveniva a piccoli gruppi, dalla base fino alla regione dell’obiettivo; i reparti si riunivano soltanto poco prima di entrare in azione. Quindi veniva l’attacco vero e proprio. La velocità d’esecuzione a questo punto era essenziale. La 3 parte “veloce” era rappresentata dallo sgombro delle armi dal campo di battaglia ed il recupero dei morti e dei feriti. Vi era infine la ritirata, sempre scrupolosamente preparata come parte integrante del piano generale e la cui riuscita dipendeva dalla dettagliata conoscenza del terreno e della dislocazione delle forze nemiche.

Quindi se Domenica 17 Aprile i viet cong che incontreremo ci affronteranno cosi, siamo spacciati.

Ma come dite voi "Mad So Hard And Breaks The Ass".








reporter Larry
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